Scriveva William Heberdeen nel 1768 “There is a disorder of the breast, marked with strong and peculiar symptoms, considerable for the kind of danger belonging to it, and not extremely rare, of which I do not recollect any mention among medical authors.

The seat of it, and sense of strangling and anxiety with which it is attended, may make it not improperly be called Angina Pectoris” vi e un disturbo del petto, caratterizzato da forti e peculiari sintomi, da non trascurare per la sua pericolosità, non astremamente raro, del quale tuttavia non ho trovato menzione nelle comunicazioni di colleghi.

La sua localizzazione ed il senso di angoscia ed ansia con cui esso si presenta, fa sì che usare il termine Angina pectoris è appropriato per descriverlo” Non estremamente raro, tuttavia non comune, se ne descrisse 20 casi nei Transactions of the Royal College nel 1772 e complessivamente ne osservò nella sua pratica clinica 80 casi, pubblicati postumi, nel 1802, dal figlio William Heberdeen jr. D’altra parte in conseguenza della forte valenza simbolica che ogni cultura gli ha sempre attribuito il cuore era immune dalle malattie, come sosteneva Plinio il Vecchio (I sec A.C.) “il cuore è il solo organo interno che la malattia non può toccare e che non interferisce con le sofferenze della vita”, concetto che ritroviamo ancora nel XVIII secolo. Enciclopedia di Diderot: “le malattie cardiache sono estremamente rare “.

Cosa è avvenuto se, poco più di due secoli dopo. Jean Pierre Bassand nella lettura inaugurale del Congresso Europeo di Cardiologia di Monaco del 2004 ebbe a dire: “L’intero pianeta è minacciato da una pandemia di malattie cardiovascolari capace di uccidere più di quanto la morte nera abbia fatto nel medioevo”. Come non dargli ragione dal momento che le malattie cardiovascolari sono responsabili di una morte su tre nel mondo e di una su due nei paesi occidentali e le previsioni non sono molto rosee per il futuro?

decessi globali previsti per diverse cause per qualsiasi età dato del 2005

La parete di una arteria è costituita da più strati: uno strato interno, a contatto con il sangue, detto endotelio, uno intermedio ricco di cellule muscolari lisce responsabili del tono della parete in maniera che il vaso non collassi, uno strato esterno detto avventizia che ha principalmente la funzione di nutrire la parete del vaso stesso).

La cardiopatia ischemica (angina di petto nella sua forma cronica, infarto miocardico nella forma acuta) è il risultato di una riduzione o occlusione del lume di una coronaria (il vaso che porta l’alimento al cuore) dovuto alla presenza più o meno estesa di una formazione detta placca aterosclerotica.

Una placca aterosclerotica è fatta prevalentemente di materiale lipidico (grassi, colesterolo); la sua crescita porta ad un progressivo restringimento del lume delle arterie con riduzione del flusso sanguigno e conseguente minor apporto di ossigeno ai tessuti, l’ossigeno è indispensabile per trasformare in energia il materiale grezzo che arriva nel sangue con gli alimenti (grassi, zuccheri e quant’altro). Il cuore ed il cervello in particolare sono organi che svolgono un lavoro continuo, hanno pertanto bisogno di un apporto energetico elevato che venga loro fornito attraverso meccanismi di utilizzo dei substrati ad alta resa e a scarso residuo tossico. Questo meccanismo per funzionare ha bisogno dell’ossigeno; la carenza di ossigeno in questi organi produce infatti danni fino alla loro distruzione.

lume arteria coronarica con trombo e con placca aterosclerotica

Fig n.1: Lume di una arteria coronarica occupato in parte da una placca aterosclerotica, costituita al centro (core, in bianco) da le lipidico ricoperto da un cappuccio fibro. Il flusso sanguigno attraverso questo vaso è ridotto, tuttavia i sintomi della carenza di ossigeno compariranno solo quale il cuore necessiterà di più energia per una maggiore prestazione.
Fig n.2: Il lume del vaso in questo caso è ostruito per la presenza di un trombo (in rosso), che si è formato per la rottura della placca. Il flusso attraverso il vaso viene a mancare del tutto: il tessuto cardiaco rimane senza ossigeno ed è destinare a morire in poco tempo (necrosi, infarto del miocardio).

Ma come si forma una placca, quale è il “primum movens” di questo processo patologico?

Tutto inizia con la cosiddetta disfunzione dell’endotelio, alla quale contribuiscono una serie di fattori metabolici, emodinamici, neurormonali, tossici, infiammatori e genetici che si identificano con i cosiddetti fattori di rischio.

Sono stati identificati molti fattori che contribuiscono al processo aterosclerotico e negli ultimi anni si sono create vere e proprie carte di quantificazione del rischio. Vi sono fattori di rischio attualmente non modificabili, perché legate al corredo genetico e fattori di rischio che possono essere ridimensionati: tuttavia la presenza dei primi potenzia la valenza dei secondi.

Molti dei fattori di rischio ambientali sono una conseguenza dello stile di vita e si riferiscono alle abitudini alimentari e voluttuarie, allo stress lavorativo e relazionale, alle caratteristiche di personalità, alla attività fisica.

E sono questi fattori che tendono a crescere mentre quelli legati al sottosviluppo si riducono.

fattori di rischio malattie cardiache

Tuttavia, la globalizzazione rende omogenei i comportamenti negativi facendo sì che i principali fattori di malattia riconoscono gli stessi nelle differenti classi di reddito.

L’età stessa diventa un aggravante dal momento che l’incidenza di ipertensione, dislipidemia (alterazione dei grassi) e diabete aumenta con le classi di età.

Molte risorse vengono impiegate per ridurne la presenza nella popolazione. Tuttavia, i risultati che si stanno ottenendo non sono ottimali: c’è una riduzione della mortalità per gli eventi acuti, conseguenza della maggiore capacità diagnostica e terapeutica, meno si sta ottenendo in termini di incidenza della malattia.

incidenza e mortalità eventi coronarici maggiori Italia

Cosa non sta funzionando nella prevenzione?

Se si rappresentacon una piramide la relazione tra fattori di rischio e malattia, ponendo alla basi fattori che caratterizzano uno stile di vita dei paesioccidentalicome un’alimentazione qualitativamente e quantitativamente non corretta, la sedentarietà ed il consumo di tabacco e al vertice gli esiticlinici, ponendo in stazioni intermedie i fattori di malattia che dalla base derivanoprendiamo in esamle strategie di intervento cipossiamo rendere conto del perché i risultati ottenuti sono parziali e con un costo economico che diventa sempre più insostenibile per un servizio sanitario pubblico. Il perché è nel fatto che si è scelto di intervenire prevalentemente non alla base, ma alla metà della piramide.

Ed è un quadro a tinte fosche quello tratteggiato dagli ultimi risultati dell’indagine EuroASPIRE III: nonostante l’ampia gamma di farmaci disponibili per la prevenzione primaria e secondaria degli eventi cardiovascolari, sono ancora tanti, e per di più in aumento, i pazienti con o senza una coronaropatia nota che non raggiungono i target indicati dalle linee guida riguardo ai fattori di rischio cardiovascolari.

L’ESC (Società Europea di Cardiologia) ha promosso la prima indagine EuroASPIRE circa 15 anni fa, nel biennio ’95-’96, coinvolgendo 9 Paesi. A questa ne è seguita una seconda, nel 1999-2000, che ha interessato 15 nazioni. Entrambe le survey hanno evidenziato un’alta prevalenza di fattori di rischio modificabili nei pazienti con malattia coronarica. L’ultima, EuroASPIRE III, effettuata nel 2006-2007 in 76 centri di 22 Paesi, ha mostrato che in tutti questi anni non ci sono stati gran miglioramenti sul fronte della prevenzione cardiovascolare. Infatti, un’analisi relativa a otto nazioni che hanno partecipato a tutte e tre le edizioni di EuroASPIRE, pubblicata nel marzo 2009 su Lancet, ha rivelato che la gestione dei livelli lipidici e pressori nei pazienti coronaropatici è ancora tristemente subottimale, nonostante la disponibilità di nuove opzioni farmacologiche.

Intervenire alla base significa modificare le abitudini di vita di una comunità, fare delle scelte di igiene sanitaria ben precise, spesso in contrasto con imponenti interessi di mercato, promuovere campagne di educazione sanitaria fin dai primi anni di scuola. L’intervento a metà della piramide è politicamente meno impegnativo dal momento che comporta prevalentemente se non esclusivamente l’uso dei farmaci, che agiscono selettivamente contro il colesterolo, l’ipertensione, il diabete, la trombosi, ma non sulle condizioni che li generano. Vi sono effetti pleiotropici dello stile di vita che sono indipendenti dai trattamenti farmacologici.

Ed i risultati sono decisamente positivi.

Medici dell’Università di Harvard hanno monitorizzato per 16 anni circa 45000 soggetti di sesso maschile con un’età che variava tra i 40 ed i 70 anni: di ciascun uomo si è quantitativamente definito lo stile di vita sulla sommatoria di 5 fattori considerati non favorenti una malattia cardiovascolare, come il non uso di tabacco, un indice di massa corporea < 25 Kg/m² (calcolata come peso in Kg diviso per l’altezza), un’attività fisica da moderata a vigorosa (≥ 30 min/die), un consumo moderato di alcool ( da 5 a 30 g/die), una dieta costituita prevalentemente da frutta fresca, cereali, vegetali, con un consumo di pesce e pollo superiore di 2.5 volte a quello della carne rossa ed un rapporto tra grassi polinsaturi e grassi saturi di 0.6. Si ottenne così uno score degli stili di vita che variavano da 0 non salutare (nessun fattore presente) a 5, molto salutare (tutti e 5 i fattori presenti). Quanto più elevato era stato lo score dello stile di vita durante l’osservazione tanto più basso era risultato il rischio di presentare un incidente coronario (infarto). Questo comportamento non era differente se durante l’osservazione alcuni soggetti prendevano un farmaco per ridurre la pressione o il colesterolo.

stile di vita e rischio malattie cardiache

Ma nella realtà tutto è così diverso, come dimostrano l’andamento dell’obesità negli ultimi 25 anni in USA e in Europa.

Andamento obesità adulti 1985-2000

andamento obesità adulti USA

La  entità della  sostituzione nelle cartine del giallo con il rosso è impressionante ed ancora più drammatica è la situazione della obesità in età pediatrica ed aadolescenziale, particolarmente severa nel nostro paese (colore viola ) O da come l’attività fisica sia poco praticata, pur sapendo che il maggior giovamento in termini di riduzione dei fattori di rischio riguarderebbe soprattutto i soggetti obesi.

I vantaggi della cesazione del consumo di tabacco  è ormai ben documentato da questo studio di G.Cesaroni (“Effect of the Italian Smoking Ban on Population Rates of Acute Coronary Events”, Circulation 2008;117:1183-1188): dopo 5 anni dalla cesazione del fumo di tabacco il rischio di avere un infarto del miocardio si reduce di 5 volte e quello di avere un ictus di 2 volte.

Prof. Luciano Daliento
Già Professore Ordinario Cardiologia
Senior Scholar Università di Padova